Il nostro iscritto Andrea Visentin, dopo la panoramica del suo primo articolo sul mondo dell’informatica e sugli ambienti software che ci permettono di comunicare, affronta il tema della comunicazione con un affondo sui punti di vista: sembra facile trasmettere un’idea, ma ci dimentichiamo che spesso il veterinarese non è italiano.
Il bagaglio formativo professionale e il nostro vissuto generano una lingua diversa, con sue regole e soprattutto con i suoi sottintesi che possono creare fraintendimenti in chi ci ascolta.
La comunicazione animale è differente: “Un cane che vive fin da cucciolo con un gatto lo capisce. Un essere umano non sempre“.
Punti di vista
Affrontati i programmi, per concludere il discorso preparatorio, si deve pensare alla comunicazione; sembra facile trasmettere un’idea, ma a volte non ci soffermiamo a pensare come tanti anni di Università e di formazione post laurea portano ad una variazione del modo di esprimersi e di intendere.
Vi è mai capitato di parlare con persone, anche esperte della materia, che comprendono in modo diverso quello che è scritto su di una semplice nota? O con proprietari di animali che, nonostante un buon livello di cultura, non capiscono quello che volete dire?
Questo è proprio quello che mi è capitato molte volte e la cosa mi ha dato molto da pensare.
L’italiano è sempre quello eppure il veterinarese (passatemi il neologismo) non è italiano, ma è proprio questo che noi e tutti quelli che hanno a che fare con la veterinaria, siano dei ministeri o delle fonti di informazione specializzata, usano.
Una lingua diversa, con sue regole e soprattutto con i suoi sottintesi, che crea dei fraintendimenti nei confronti di quelli che ci ascoltano a vario titolo.
Anche la relazione che si viene a creare tra veterinario e proprietario crea una comunicazione differente. Spesso anche le attese che si portano dietro i “parenti del paziente” possono creare incomprensioni. La comprensione di un’espressione gergale è differente, molti sono inguaribilmente ottimisti altri al contrario pessimisti.
Questi due modi di intendere un bicchiere con il 50% del contenuto massimo possibile, danno diverso valore alle parole ed alle risposte. Molte volte siamo noi stessi a non pensare che quello che può essere evidente diventa oscuro per altri.
Non crediate sia solo una questione di livello di istruzione.
Addirittura uno studio pubblicato nel luglio 2012 va ad indagare la differenza tra uomo e donna nella comunicazione sia dal lato veterinario che da quello del proprietario, la conclusione di questo studio è che esiste una differenza tra uomo e donna come avviene nella medicina umana.
Partendo da questo articolo e cercando un po’ si trovano anche altri articoli con lo stesso soggetto. Sono tanti che cercano di capire i misteri della comunicazione.
In un altro studio del febbraio 2012, mantenendo lo stesso sistema di stima, si è esplorato il rapporto cliente-veterinario e si conclude che un approccio chiaro, improntato sulla comunicazione chiara e razionale tra le due parti, è importante per fidelizzare (passatemi questa espressione da addetto marketing) i clienti al veterinario.
In uno studio del 2009 si analizzano invece il costi della comunicazione durante la visita, e si conclude che questi non sono conosciuti da entrambe le parti.
In uno studio del 2008 viene addirittura analizzato il tono del veterinario durante la conversazione.
A questo proposito si deve però sottolineare che si tratta di studi in lingua inglese con tutto quello che ne consegue sul modo di esprimersi: un tempo le differenti intonazioni della voce e la differenza in classi sociali di questo popolo era molto più marcato di oggi.
Comunque anche in uno studio del 2006, analizzando il tipo di comunicazione in relazione alla durata della visita, viene sottolineato come l’enfasi nell’espressione rientri nella decisione sul prosieguo della relazione veterinario-paziente (proprietario in realtà).
Esprimersi non è facile, i nostri pazienti imparano nei primi mesi di vita che noi non siamo sempre arrabbiati anche se teniamo le orecchie schiacciate contro il cranio.
Non vedono la coda eppure sanno dire se siamo felici, impauriti, se vogliamo giocare… noi invece abbiamo a disposizione un interlocutore umano, emettiamo suoni che hanno un preciso significato (almeno lo spero) per questo eppure non sempre riusciamo a trasmettere un chiaro significato.
“Lasciami in pace mi stai disturbando” il gatto di casa lo esprime con una sola espressione.
Forse non dovremmo crederci, ma un cane che vive fin da cucciolo con un gatto lo capisce. Un essere umano non sempre.
A questo punto per concludere e tornare ai punti di vista iniziali provate a cambiarli ogni tanto per vedere meglio il quadro d’insieme e … buona comunicazione.
Al posto di una bibliografia sterile e poco comunicativa vi propongo degli argomenti di ricerca:
Gender differences in veterinarian-client-patient communication
Veterinarian-client-patient communication
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